Il Gruppo Teatrolaboratorio con lo spettacolo LA GUERRA - anno 2005
FOGLIO DI SALA
Si è in guerra, non importa dove e quando. C’è una fortezza assediata difesa da un Generale. Florida, figlia di quel generale, è rimasta fuori dalla fortezza e, pur legata al padre, è innamorata di un giovane ufficiale nemico che incontra in casa del Commissario, dove si vendono merci alla truppa, si tiene un banco di gioco d’azzardo, si corteggiano le belle donne e si discorre d’amore e di guerra.
I soldati, se sono al campo, smaniano di combattere, assaltare, squartare, saccheggiare e mostrare eroismo e coraggio. Quando non sono al campo, ingannano il tempo al gioco d’azzardo e al gioco amoroso, che sarà galante con le dame per bene, aggressivo e volgare con le popolane.
Gli ufficialetti in carriera aspirano e alla gloria e all’amore e dovranno pertanto patire le pene del cuore e le sfide della battaglia. Impazienti di combattere, tra una galanteria e un brindisi sono sempre pronti a sfidarsi a duello per i più futili motivi. Anche se innamorati, riescono ad esser tali solo in presenza dell’amata e quando non si parli di guerra. Al richiamo del tamburo, lasciano tutto e si trasformano, in preda a un’esaltazione permanente da invasati.
I Generali poi sono l’incarnazione stessa dell’esercito, della guerra, dei suoi falsi valori. Tronfi, tutti d’un pezzo, possono talvolta aprire il cuore soltanto a nobili sentimenti paterni.
L’unico indenne da questi comportamenti è il Commissario, l’uomo che ha scelto di trarre profitto dalla guerra e con lucida determinazione e senza scrupoli si dedica ad arricchirsi spillando denaro ai soldati.
Il profittatore cinico sembra l’unico conoscitore degli uomini e della loro natura. Stereotipato, irrigidito, incapace di provare affetti, abituato com’è a tradurre ogni cosa in conto economico.
Infine le donne. La giovane innamorata, virtuosa, obbediente, divisa tra i suoi due affetti (il padre Generale e l’amoroso nemico) e lamentosamente succube dell’inconciliabilità di essi.
L’altra, figlia del profittatore, molto più smaliziata dalla vita a contatto con la truppa e con gli affari del padre, sa tener testa agli uomini e al destino, e ritagliarsi piccoli spazi di vita senza perdere la coscienza della precarietà del tutto.
Un gradino più giù nella scala sociale, la contadina e la mercantessa, esposte ad essere trastullo dei potenti e della soldataglia, giocano d’astuzia per ricavare comunque da ogni situazione un qualche tornaconto.
Ma forse è la guerra che esalta ed esaspera i caratteri e i comportamenti: i buoni diventano più buoni, gli eroi più intrepidi, i cinici più avidi, i soldati più ansiosi di esibire la loro soldatanza.
La Guerra di Goldoni, commedia buffa com’egli stesso la definisce, non è più commedia dell’arte e non ancora commedia moderna. I personaggi, pur non portando la maschera e soffrendo drammi di coscienza, sono sbozzati dall’autore in maniera sommaria. Allora, anziché voler contrastare o compensare questi aspetti, abbiamo preferito sottolinearli e accentuarli, nell’allestimento e nella recitazione. Così, quando si tratta di guerra i militari si trasformano in burattini: l’obbedienza passiva, la ripetizione meccanica di gesti e rituali, il parlare per slogan stereotipati sono diventati il loro abito e il loro linguaggio.
E quando invece si parla d’altro, nel tono leggero e frivolo da salotto settecentesco, la guerra, anche se non si vede, è sempre là fuori e a tratti irrompe o si insinua nella vita normale mostrando il suo vero volto di pura violenza.
Quando verrà, la pace spazzerà via tutto e farà tabula rasa dei legami precari, dei piccoli drammi vissuti dai personaggi.
E lascerà tutti con l’incertezza sulla fragile credibilità di ogni pace.